giovedì 30 dicembre 2010

Ferenc Molnar - I ragazzi della via Pal



DOVE: Budapest, Ungheria
QUANDO: inizi del Ventesimo secolo

Il mio amore per la lettura comincia molto, molto lontano, con i cosiddetti "classici" per ragazzi, forse un tantino fuori moda nell'era di Harry Potter e Geronimo Stilton, eppure a mio parere sempre affascinanti. Prendiamo per esempio, "I ragazzi della via Pal", dell'ungherese Ferenc Molnar, pubblicato agli inizi del secolo scorso; la trama è presto detta: due bande di ragazzi che si affrontano e si scontrano per il possesso di una segheria, improvvisamente trasformata dalla fervida immaginazione infantile in un vero e proprio campo di battaglia. Questo, perlomeno, quello che apparirebbe agli occhi "ciechi" di noi adulti, tutti presi e assorti nella gravità delle nostre occupazioni serie e quotidiane. Incapaci di riconoscere un cappello da un boa che ha inghiottito un elefante, se volessimo rubare una vivacissima ed efficace descrizione data da Antoine de Saint Exupery nel suo celebre "Piccolo Principe". Eppure, la scaramuccia tra le due bande rivali - l'una capitanata dal saggio Boka, l'altra dal focoso Ats - si infiamma e dilaga con la serietà propria dell'infanzia in una vera e propria guerra, nella quale sotto una rigida gerarchia si tessono strategie e si progettano imboscate. E nella quale le personalità differenti dei protagonisti emergono prepotentemente, specchio della società degli adulti che, al di là del muro della segheria, vive la propria realtà indifferente - e ignara - degli eroismi e delle prepotenze che prendono vita tra le cataste di legname.
Perchè, come accade nel Signore delle Mosche di Golding, anche qui l'infanzia serve per aprire gli occhi su noi stessi; anche se il sapore che resta in bocca dopo aver conosciuto i piccoli combattenti di Molnar è decisamente più dolce, capaci come sono di piccoli eroismi, di atti di dignità, di rispetto e disciplina che mai vengono meno, neanche nel mezzo del conflitto.


UN ASSAGGIO:

"Csele si è fermato sotto il portone di un palazzo vicino alla scuola per comprare un po' di torrone, e sta contrattando con il venditore che ha aumentato il prezzo senza alcun apparente motivo. Il pezzetto di torrone che il venditore, servendosi di una piccola accetta, stacca dal grosso blocco cosparso di noccioline, fino al giorno innanzi costava un soldo. Ed anche tutto il resto, sotto quel portone, costava un soldo: le tre prugne candite infilate in uno stecco, i tre mezzi fichi, i tre spicchi di noce, le caramelle d'orzo, il grosso pezzo di liquirizia ed anche il cosiddetto "giardinetto dello studente", un miscuglio, cioè, di noccioline, uva secca, confetti, polvere di strada, carrube in pezzi e mosche. Come si vede, un simile "giardinetto" offriva, con la modica spesa di un soldo, numerosissimi prodotti sia dell'industria sia del regno vegetale e animale.
Csele ora sta contrattando proprio perchè il venditore ha alzato i prezzi. Gli esperti di economia ci insegnano che i prezzi aumentano normalmente per quei generi la cui vendita presenta determinati pericoli. Ad esempio, è caro il tè che le carovane trasportano attraverso l'Asia passando per certe regioni infestate dai banditi: ed è di regola il compratore che finisce per fare le spese di tali rischi.
Per la stessa ragione il venditore di torrone, che corre il rischio di essere allontanato in qualsiasi istante dalle vicinanze della scuola, da buon affarista si rifà anche lui ritoccando i prezzi. Sa benissimo infatti che da un momento all'altro potrebbero proibirgli il suo fiorente commercio, dato che i professori lo considerano dannoso per gli studenti."

mercoledì 22 dicembre 2010

Nikolai Gogol - I racconti di Pietroburgo



DOVE: San Pietroburgo, Russia
QUANDO: metà del diciannovesimo secolo.

Sono di parte; adoro gli scrittori russi. Adoro immergermi nelle loro atmosfere fatte di neve che scricchiola sotto i piedi, thè bollenti custoditi nelle pance dei loro samovar, nuvolette di fiato gelido che sbuffano di sotto i baveri rialzati. C'è qualcosa che mi attrae, nel loro stile, e che mi ha spinto ad archiviare San Pietroburgo tra le città da visitare, un giorno.
Nell'attesa, mi accontento di brevi immersioni in una Russia che non c'è più e che proprio per questo mi affascina profondamente.
Se dovessi consigliare ad un lettore "occasionale" un nome per accostarsi alla letteratura russa non esiterei a rispondere "Nikolaj Gogol". E, subito dopo, gli porgerei questo libro, nel quale in cinque racconti si conciliano le atmosfere nevose della Russia di metà ottocento con un surrealismo dal sapore assolutamente moderno. Quello di Gogol, tanto per capirci, è un mondo in cui l'assessore di collegio Kovalev, una mattina, si sveglia scoprendo con sgomento che il suo naso è svanito nel nulla. Lo stesso naso che il barbiere ubriacone Ivan Jakovlevic ritrova, non sensa disgusto, nella pagnotta con cui si accinge a fare colazione. Lo stesso naso che misteriosamente se ne va poi a zonzo per San Pietroburgo, inseguito dal suo legittimo proprietario.
Ma è anche il mondo in cui il piccolo impiegatuccio Akaki Akakievic si vede rubare il cappotto, faticosamente acquistato dopo anni di risparmi da formichina, ed aggirandosi per le vie gelide della città tenta disperatamente di venire a capo della sua piccola tragedia, nell'indifferenza di una città nella morsa dell'inverno russo.
O il mondo in cui due giovanotti a passeggio sulla Prospettiva Nevskij, si mettono impulsivamente a pedinare due belle - una bionda, l'altra brunetta - lasciandosi andare al corso dei loro sogni, e finendo per cacciarsi in un bizzarro intrigo.
Il mondo in cui il giovane artista Cartkov, curiosando in una polverosa botteguccia d'arte, entra in possesso del ritratto di un vecchio, che pare essere avvolto da un'oscura maledizione.
Ed è infine il mondo in cui si aggira, perso nelle bizzarre volute del suo pensiero acciaccato dalla schizofrenia, un impiegato le cui giornate Gogol ci descrive attraverso un delirante diario.
Insomma, un mondo pieno di figure ed emozioni contrastante, cui fa da sfondo lo sferragliare delle slitte sull'affollata Prospettiva Nevskij, in un turbinare di folla del tutto indifferente alle disavventure piccole e grandi dei singoli personaggi dei quali Gogol tiene le fila.
Una città attualissima nel suo disinteresse nei confronti degli individui, colpiti più o meno bizzarramente dai capricci della sorte.

UN ASSAGGIO:
"Quel giovanotto apparteneva ad una classe che da noi rappresenta un fenomeno piuttosto strano, e che fa parte della popolazione di Pietroburgo quanto un viso apparsoci in sogno fa parte del mondo reale. Questo ceto singolare è assai insolito in questa città in cui tutti sono funzionari o mercanti o artigiani tedeschi. Era un artista. Non è vero che è un fenomeno strano? Un artista pietroburghese! Un artista nella terra delle nevi, un artista nel paese dei finnici, dove tutto è umido, piatto, uniforme, pallido, grigio, nebbioso. Questi artisti non assomigliano affatto agli artisti italiani, orgogliosi, ardenti come l'Italia ed il suo cielo; al contrario, sono perlopiù gente buona, mite, timida e spensierata, che ama pacatamente la sua arte, prende il thè con due amici nella sua stanzetta, ragiona modestamente dell'oggetto amato e disdegna del tutto il superfluo. Continuerà a portarsi in casa qualche vecchia mendicante e la farà posare per sei ore buone per trasferire sulla tela la sua faccia misera e inespressiva."