venerdì 29 luglio 2011

MARSHA MEHRAN - Caffè Babilonia


DOVE: Ballinacroagh, minuscolo villaggio sulla costa irlandese
QUANDO:Anni '80

Tre sorelle - Marjan, Bahar e Layla - fuggite dall'Iran inghiottito dalle fiamme della rivoluzione khomeinista, approdano in un piccolo villaggio dal nome a malapena pronunciabile, appollaiato intorno alle sue strade medievali sull'umida e verde costa irlandese, e rimboccandosi le maniche cercano di ricostruire le loro vite lacerate.
Cosa non facile, quando hai la mente e il cuore pieni di immagini di sangue e violenza così difficili da strappare via; eppure le tre ragazze si animano di buona volontà e aprono un ristorantino pieno di colori e profumi, in grado di portare una ventata di innovazione perfino tra le tranquille e statiche viuzze di Ballinacroagh.
Attratti come da un silenzioso incantesimo dal profumo del basmati e dell'acqua di rose e dall'irresistibile fascino dell'esotico, i loro concittadini cominciano ben presto a sciamare numerosi nel locale, mentre le tre sorelle, assaporando ogni gesto, si dedicano con cura alla preparazione dei loro piatti, lasciando che in questo modo i brutti ricordi si affievoliscano. Ma ecco che l'amore ci mette lo zampino, facendo incontrare la bella Layla con Malachy Mc Guire, figlio di quel Thomas che, a suon di sputi e imprecazioni, manifesta prepotentemente il suo status di "signorotto" locale, nonchè proprietario di un infinito numero di pub; il quale, inutile dirlo, non approva affatto la relazione tra il suo figliolo e quella "straniera" catapultata assieme alle sue sorelle e al loro strampalato bagaglio di spezie e puzze penetranti a scompigliare la tranquillità della sua cittadina.
E tra dolmeh, palpiti del cuore, dolorosi flashback e la triste realtà di chi, tra mille difficoltà, cerca di radicarsi in una terra nuova e sconosciuta, le tre sorelle sapranno - ricetta dopo ricetta - tener fede al loro sogno di crearsi una vita nuova.
(E quando dico: "ricetta dopo ricetta" non è tanto per dire; ogni capitolo è dedicato ad un piatto, con tanto di ricetta ( dalla Baklava, alla Zuppa di Lenticchie Rosse, alla Bevanda allo yoghurt dough) per poter ricreare i profumi e i sapori del libro.)


UN ASSAGGIO:

" Il Caffè Babilonia doveva aprire entro cinque ore. Cinque ore! E a Bal-li-na-croag, la nuova cittadina di cui a stento riusciva a pronunciare il nome, figurarsi scriverlo. Un intero villaggio pieno di gente che sarebbe venuta ad assaggiare i suoi piatti con sguardi interrogativi e lingue curiose. E, al contrario dei suoi precedenti incarichi in cucina, stavolta sarebbe stata lei la responsabile di tutto. Il cuore prese a batterle più forte mentre faceva rosolare la carne tritata e le cipolle sulla fiamma bassa e guizzante. La padella sfrigolò soddisfatta quando Marjan aggiunse le preziose erbe essiccate, le uniche che fosse riuscita a trovare in così poco tempo. Anche in Iran le era capitato di doverle usare, ma aveva scoperto che, se le metteva a mollo durante la notte, andavano ugualmente bene, quasi come quelle fresche. Poi unì la carne rosolata al riso e condì con succo di lime fresco, sale e pepe. A questo punto iniziò a mescolare con tutta la forza nonostante il dolore alle spalle, perchè quelle energiche rotazioni di tutto il busto erano necessarie all'armonia dei dolmeh."

giovedì 14 luglio 2011

THRITY UMRIGAR - Bombay time


DOVE: Wadia Baug, popoloso quartiere-condominio di Bombay
QUANDO: tra i giorni nostri e - in flashback - attraverso cinquant'anni di storia dell'India.

Tutto ha inizio da un matrimonio: Mehernosh Kanga e la bella Sharon, giovani "figli" dell'affollata Wadia Baug, convolano a giuste nozze sotto gli occhi orgogliosi della comunità. Eh sì, perchè quando si vive in un condominio della Bombay semplice eppure onesta, mentre tutto intorno la città pare disfarsi e marcire sotto la spinta del progresso e dei suoi devastanti effetti collaterali - la miseria di chi è costretto ad elemosinare gli avanzi, aspettando pazientemente accanto ad un cassonetto e la violenza di chi a tutto ciò tenta di ribellarsi con la forza della disperazione - è inevitabile che si diventi un po' il figlio di tutto il quartiere. Perchè quando il tempo scivola via veloce, imbiancando i capelli di chi osserva, allungando le ossa dei bambini sotto le ginocchia sbucciate, portandosi via gli affetti e le speranze, non rimane che questo: la semplice possibilità di gioire assieme a chi ha ancora, davanti a sè, tutto il tempo e le possibilità.
Qui, dal ricevimento nuziale al quale l'orgoglioso papà dello sposo - Jimmy Kanga, uomo di successo negli affari come nella vita - ha deciso di accogliere l'intera, colorata comunità di Wadia Baug, prende l'avvio una vicenda polifonica, nella quale l'intreccio della trama si dipana trasportato dalle voci degli invitati, ciascuno intento in un solitario viaggio a ritroso nella propria memoria. Lo sappiamo tutti, no, come accade? Basta un nonnulla, un gesto, un colore, un dettaglio, un profumo, e siamo risucchiati indietro nella melma dolce-amara dei nostri vischiosi ricordi... Ed ecco che, tra una portata e l'altra, tra lo scintillio delle sete e l'aroma intenso delle spezie, tra lo strombazzare dei clacson e il silenzio doloroso delle cerimonie funebri alla Torre del Silenzio, viaggiamo avanti e indietro attraverso il tempo, nella neonata India che s'è scrollata di dosso il giogo della dominazione inglese ed in quella che - ormai signora d'una certa età - si guarda alle spalle e fa' un bilancio di ciò che è diventata.
E conosciamo quest'India nel modo più schietto e veritiero, attraverso gli occhi di chi l'ha vissuta, come quelli di Rusi, un tempo giovane pieno di speranze, ora uomo di mezza età che cerca di interrogarsi sul perchè la felicità sembri scivolargli via attraverso le dita; o quelli di Tehmi, un tempo giovane e splendida sposa dell'amatissimo Cyrus, divenuta poi la solitaria vedova dall'alito che uccide; o ancora quelli di Adi, giovane scapolo con un segreto pesante come un macigno seppellito nel fondo del suo cuore. Ed ancora, la vecchia e combattiva pettegola Dosa, divenuta tale nel masticare per anni il dolore di una vita andata come non voleva che andasse. Soli Contractor ed il ricordo del suo unico, lontano, indimenticato amore di gioventù che ha finito per avvelenargli l'anima legandolo ad una solitudine perpetua.
Decine e decine di voci e di vite, accomunate dall'etnia parsi e dalle mura di Wadia Baug, che li hanno visti crescere, sperare, innamorarsi, imbiancare, soffrire, talvolta soccombere. Un delizioso affresco della Bombay più intima.

UN ASSAGGIO:

"Bombay ha aperto gli occhi. Le sveglie suonano in tutta la città. Il loro trillo scuote il sole dal sonno, lo fa scendere dal letto perchè cominci a malincuore la lenta scalata del cielo.Lungo il tragitto si lascia dietro una bava scarlatta, simile agli sputi rossastri che lasciano sui muri i masticatori di foglie di paan. Gli uomini impegnati nei loro esercizi quotidiani al Worli Sea Face notano appena lo splendore del cielo e il sole in ascesa.Grugniscono; sudano; i loro corpi muscolosi luccicano come rami scuri nella luce mattutina. Presto saranno strappati via dal petto ombroso di quell'attimo che precede l'alba e dalla sua pace anonima, elusiva. Ma ora, per un breve istante, possiedono la città, quegli uomini indistinti: un esercito di sagome sudate e ansimanti, che fanno addominali, si esercitano nella lotta, praticano esercizi yoga, respirano l'aria dolce del mattino. Per un momento breve e prezioso, gli stereo portatili non rigurgitano colonne sonore di film hindi a tutto volume; i taxi non parlano il linguaggio aspro dei clacson. C'è solo il rumore del loro respiro e dell'oceano che sospira agitandosi nel sonno. Ecco perchè quegli uomini credono di possedere la città scura, la sua aria tiepida, la sua luna vuota, le sue acque schiumanti. Adesso, però, è la città a possederli. Bombay apre gli occhi su un altro giorno."

lunedì 4 luglio 2011

MILAN KUNDERA - L'immortalità


DOVE: Parigi
QUANDO: Ventesimo secolo

E' senz'altro inusuale che uno scrittore ci conduca per mano attraverso la genesi di una sua opera, insegnandoci come, talvolta, i personaggi nascano da un nonnulla. Da un gesto, ad esempio.
Così, mentre attende pigramente al bordo di una piscina parigina il suo amico Avenarius, l'occhio dell'autore viene catturato da un semplice sorriso ed un cenno della mano, un saluto come tanti eppure straordinariamente affascinante perchè lanciato da una sessantenne certo non più piacente che però, in quel breve istante, ritrova la genuina civetteria della ventenne. Così, da un nonnulla, dalla nostalgia che quel gesto riesce a instillare nel cuore di uno scrittore, nasce Agnes, creatura bizzarra, infelice, distaccata - quasi nauseata - dal mondo che la circonda, chiassoso, appariscente, superficiale. Incapace, a detta di lei stessa, di essere solidale con l'umanità. E piena di dubbi sulla sua stessa vita, sul suo matrimonio, sul suo corpo. Dall'altra parte, sua sorella minore Laura, affascinante, molto consapevole di sè e del proprio aspetto fisico, sensuale, decisa. Una donna, per intenderci, in grado di dire alla sorella maggiore: " Chiedersi che cosa sia l'amore non ha alcun senso, cara sorella. L'amore o l'hai vissuto o non l'hai vissuto. L'amore è l'amore, non c'è nient'altro da dire. Sono le ali che mi battono in petto e mi spingono ad azioni che a te sembrano irragionevoli. Ed è proprio questo che a te non è mai successo". Tra le sue sorelle, quei brandelli di vita condivisa - la morte e la malattia dei genitori - che talvolta costringono ad avvicinarsi ed a rendersi improvvisamente conto che la vita ti porta lontano, che si può condividere lo stesso sangue ma non lo stesso spirito, che ti costringono ad aprire gli occhi sulla vita che scorre veloce come sabbia in una clessidra, lasciando in bocca il sapore amaro dei rimorsi e dei rimpianti.
Un romanzo particolare, in cui la storia della protagonista lascia spazio ad altre storie - Rimbaud, Goethe, perfino Hemingway si affacciano tra le pagine del libro, richiamati in punta di penna dall'abile giocoleria di Kundera; è lui stesso, ben lungi dal rimanere un burattinaio esterno alla vicenda, con una sorta d'incantesimo entra ed esce dalla storia, rendendo difficile la percezione di ciò che è reale e di ciò che non lo è, confondendo continuamente le acque tra la fantasia letteraria e la concreta, schietta realtà.


UN ASSAGGIO:

"Il marciapiede era così affollato che si camminava a fatica. Davanti a lei due figure di pallidi nordici con i capelli gialli si facevano largo nella calca: un uomo e una donna, che superavano di almeno due teste la moltitudine di francesi e di arabi. Ciascuno portava appeso alla schiena uno zaino rosa e sulla pancia un neonato sorretto da una specie di imbracatura. Dopo un istante scomparvero dalla sua vista: davanti a sè vedeva ora una donna vestita con larghi pantaloni che arrivavano appena sopra le ginocchia, come andava di moda quell'anno. Con quell'abbigliamento, il suo sedere sembrava ancora più grasso e più vicino a terra e i pallidi polpacci somigliavano a un'anfora campagnola ornata da un rilievo di vene varicose, di un azzurro violaceo, aggrovigliate come un gomitolo di piccoli serpenti. Agnes si disse: questa donna poteva trovare altri vestiti che avrebbero reso il suo sedere meno mostruoso e avrebbero coperto le vene azzurre. Perchè non lo fa? Ormai la gente non solo non cerca di essere più bella quando va in mezzo all'altra gente, ma non cerca neanche di non essere brutta!
Si disse: quando un giorno l'assalto della bruttezza fosse diventato del tutto insostenibile, si sarebbe comprata dal fioraio una violetta, una sola violetta, quello stelo delicato col suo minuscolo fiorellino, sarebbe uscita in strada e tenendolo davanti al viso l'avrebbe fissato spasmodicamente, per vedere solo quello..."