domenica 27 marzo 2011

ALEXANDRE DUMAS (padre) - Il Conte di Montecristo


DOVE: Tra Marsiglia, Francia, e l'Italia
QUANDO: prima metà del 1800

Tra i personaggi maschili che la letteratura classica ci offre, difficile non subire il fascino di Edmond Dantes. Tradito da quelli che reputava suoi amici, abbandonato dalla donna amata, imprigionato nel solitario Castello d'If - arroccato su uno scoglio battuto dalle onde, accessibile solo dal mare-, reagisce con forza e riesce infine a realizzare, con freddezza e lucidità perfette, la sua vendetta.
Sullo sfondo dell'ascesa e declino dell'astro di Napoleone, Dantes combatte, resiste e non dimentica: nè i suoi nemici, nè il suo dolore, nè lo struggente amore per la bella Mercedes. Fuggito miracolosamente dalla sua prigione - grazie al provvidenziale incontro con l'abate Faria, ma anche e soprattutto dalla sua prontezza di spirito e alla sua freddezza - invecchiato ma non certo abbattuto nell'animo dalla lunga prigionia, riesce infine a ribaltare la propria sorte, afferrando al volo le opportunità che il destino gli pone dinanzi. Divenuto contrabbandiere, il caso lo conduce proprio all'Isola di Montecristo che diventerà fonte e sostegno del suo piano vendicativo. Con la pazienza di un ragno, una ad una Dantes tesse le sue tele, approfittando della sua presenza agli eventi mondani di Parigi e di Roma, senza mai tradirsi nè mai rinunciare al gusto sottile della vendetta consumata, come da manuale, fredda.
In in fittissimo intreccio di situazioni e di personaggi - che non ha senso star qui a dipanare, tanto la narrazione è avvincente - ritroverà dunque chi lo ha pugnalato alle spalle e l'allora fidanzata, chiudendo ad una ad una tutte le situazioni che, suo malgrado, erano per tanti anni rimaste in sospeso, con gran sorpresa di chi immaginava che il giovane marinaio si fosse lasciato fiaccare e corrodere l'anima dalla sua umida prigionia.
Assolutamente da leggere. Punto.

UN ASSAGGIO:

"Così negli occhi neri di Noirtier, sormontati da sopracciglia scurissime, mentre i capelli, lunghi, neri e fluenti sulle spalle, erano bianchi, in quegli occhi, come avviene in ogni organo umano esercitato a spese degli altri, si erano concentrate tutta l'attività, tutta la destrezza, tutta la forza e tutta l'intelligenza sparse un tempo in quel corpo e in quell'anima. Certo, mancavano il moto delle braccia, il suono della voce e l'attitudine del corpo, ma quell'occhio possente suppliva a tutto. Egli comandava con gli occhi, ringraziava con gli occhi; era un cadavere con occhi vivi e nulla era più impressionante, a volte, di quel viso di marmo nelle cui occhiaie s'accendeva una improvvisa collera o brillava una gioia inattesa. Soltanto tre persone sapevano comprendere il linguaggio del povero paralitico: Villefort, Valentina e il vecchio domestico; ma, poichè Villefort non vedeva quasi mai suo padre e solo, per così dire, quando non poteva farne a meno e, quando lo vedeva, non cercava di fargli piacere sforzandosi di capirlo, tutta la felicità del vecchio era riposta nella nipote, e Valentina era giunta, a forza di attenzioni, d'amore e di pazienza, a comprendere attraverso lo sguardo tutti i suoi pensieri."

mercoledì 23 marzo 2011

KENZABURO OE - Una famiglia


DOVE: Tokyo (Giappone)
QUANDO: tra gli anni '60 e gli anni '90

Ecco un libro (*) che parla di dolore ma, anche di rinascita. E' la storia vera di un uomo che, solo poche ore dopo la gioia più grande - quella di diventare padre - vede spalancarsi sotto i suoi piedi il baratro della disperazione; perchè il piccolo e paffuto Hikari, roseo ed innocente come tutti i neonati, è in realtà affetto da una grave malformazione cerebrale. Solo dopo un complicato intervento chirurgico, come scrive il padre stesso, potè cominciare a "vivere in questo mondo". Una vita resa difficile dalla sua disabilità, che rendeva il suo corpo in crescita prigioniero di una mente che era come cristallizzata in un'età senza tempo; una vita che, come è prevedibile, non manca di stravolgere quella di chi gli sta accanto.
La storia di questa famiglia è la storia di come la vita possa cambiarti con la rapidità di un colpo di vento; anche quando sei uno scrittore e studioso di letteratura con davanti a sè un futuro roseo e sereno. Senza pudore, guardando a ritroso attraverso la sua vita, Kenzaburo Oe descrive allora la rabbia, l'angoscia, l'impegno, l'amore, l'ammirazione per la quieta pazienza della moglie e per la tenacia dello stesso Hikari, che incanala la sua voglia di comunicare nella musica divenendo un sorprendente compositore in grado di trasmettere con le note le emozioni intrappolate per anni nel bozzolo del suo handicap.
Un romanzo che trasporta in una Tokyo diversa da quella sorridente, trafficata e scintillante di luci che immaginiamo; una città di silenzioso dolore, di impegno quotidiano, di difficoltà.
Perchè la disabilità non ha confini nè passaporti.

*NB: il libro è stato originariamente pubblicato suddiviso in una serie di articoli sulla rivista Giapponese "Sawarabi"; Oe aveva però già descritto la storia di Hikari in un romanzo scritto più a caldo (nel 1964) ed intitolato Un'esperienza personale.


UN ASSAGGIO:

"Ci vuole una certa dose di coraggio - e di un coraggio venato d'amarezza - per ammettere che ci sono stati e ci sono momenti in cui qualcuno nella mia famiglia non riesce a controllare la rabbia nei confronti di Hikari; e mi riferisco soprattutto a me stesso.
Se devo parlare da un punto di vista concreto, penso che questo stato d'animo assomigli all'insofferenza che assale talvolta i medici, gli infermieri, i fisioterapisti o gli psicoterapeuti verso i loro pazienti - e questo pensiero mi fa balenare davanti agli occhi l'immagine di me stesso vecchio egoista che, in un futuro non così lontano, infastidisce familiari e infermieri e viene trattato di conseguenza. Quando Hikari aveva cinque o sei anni, superava i suoi coetanei in statura e corporatura, ma il suo sviluppo psichico era quello di un bambino di tre anni. Quando uscivamo insieme per una passeggiata, si lasciava cadere a terra bruscamente nei posti e nei momenti più impensati, oppure si lanciava nella direzione che aveva scelto, quasi slogando la spalla di chi lo teneva per mano."

IL MIO SECONDO PREMIO... di nuovo, GRAZIE!

Eccomi qui di nuovo a dire: "Grazie di cuore." Stavolta, a Hobina di Otherworlds, che ha voluto omaggiarmi con questo:

Inutile dire che è un premio graditissimo, che mi affretto a mia volta a girare ad cinque bloggers:

1) Palmy di MENS SANA; il titolo del blog già dice tutto, aggiungo solo che è una delle mie scoperte più recenti - in termini di blog - e lo trovo piacevolissimo per la sensazione di "respiro" intellettuale che riescono a darmi i suoi post;

2) La zia Artemisia di THE WISE WOMAN COTTAGE GARDEN, graziosissimo ed incantato angolo del web popolato di Fate, Leggende ed incantesimi.

3) Paola Brunetti e le sue splendide foto, in FERMANDO L'ATTIMO HO SCATTATO QUESTA FOTO;

4)CIPRIA e MERLETTI delle brave Irene e Alessia- che seguo spesso in maniera "silente", ma apprezzo molto per quell'atmosfera così retro;

5) E, infine, Sylvia con la sua preziosissima sala da te (UN TE' CON JANE AUSTEN), in cui sedersi comode e chiacchierare di lei, l'amatissima zia Jane.


Grazie a tutte voi, per i vostri blog accomunati tutti da una stessa molla - la curiosità - che è secondo me la chiave per dare sapore e colore alla vita, come splendidamente descritto in questo spot del National Geographic:




"Siate visionari e intraprendenti, ribelli e contemplativi, esuberanti e profondi,
avidi di sapere e innocenti, coraggiosi e sensibili. Siate sempre qualcosa di tutto questo. Siate vivi."

venerdì 18 marzo 2011

CHITRA BANERJEE DIVAKARUNI - La Maga delle Spezie




DOVE: Oakland, California
QUANDO: anni '80

Voglio presentarvi un libro secondo me incantevole; si parla infatti di magia, di spezie, di amore. Protagonista è Tilo, la vecchia proprietaria di un negozietto apparentemente anonimo di Oakland, in California, intriso del profumo penetrante delle spezie esotiche che vi vengono vendute. Trigonella, Curcuma, Assafetida, Cumino; pare quasi di sentirle pizzicare sulla punta del naso. Ma non fatevi ingannare dalla vecchia indiana dietro il banco, con la sua aria innocente ed indifesa: la bottega nasconde infatti un segreto.
Tilo non è una semplice bottegaia ma una Maga, profonda conoscitrice dei poteri - immensi - nascosti dentro le bacche, le foglie, i semi allineati nei contenitori. Ad ogni male dell'animo umano, il suo rimedio; Tilo non ha che da ascoltare, respirare e lasciare che nella sua mente la voce lontana dell'Isola in cui in tempi antichi l'Antica l'ha iniziata alla magia la guidi verso la scelta migliore.
Non può uscire dalla sua bottega nè può utilizzare gli incantesimi su di sè. La sua missione è accogliere ed aiutare coloro che entrano nella sua bottega, lanciandole inconsapevolmente indizi del loro malessere, ignari della sua vera identità.
Intorno a lei, l'occidente di asfalto e metallo, gli USA scintillanti così diversi dalla sua lontana terra dai colori e profumi intensi. Fino a quando, da quella porta, non entrerà l'uomo destinato a scardinare tutte le sue certezze.
Un libro che rapisce tutti i sensi, ti trasporta nel silenzio della bottega, nei suoi odori e colori, ti fa immergere le dita nei contenitori delle spezie facendole scorrere tra le dita.

UN ASSAGGIO:

"Sollevando il coperchio del contenitore accanto alla porta della bottega, se ne percepisce subito l'odore, anche se ci vuole un attimo prima che il cervello ne registri l'aroma sottile, lievemente amaro come quello della nostra pelle, e quasi altrettanto familiare.
Accarezzatene la superficie con la mano, e la serica polvere gialla vi infarinerà il palmo e i polpastrelli. Polvere d'ala di farfalla. Avvicinate la mano al volto. Strofinatevi le gote, la fronte, il mento. Non abbiate timore. Per millenni prima dell'inizio della storia le spose - e le fancuille che aspiravano a maritarsi - hanno fatto lo stesso. Imperfezioni e rughe scompariranno, grasso e segni del tempo saranno spazzati via. Per giorni, in seguito, la pelle brillerà di un pallido bagliore dorato.
Ogni spezia ha il suo giorno speciale. Quello della curcuma è la domenica, quando la luce gocciola burrosa dai barattoli di latta che se ne imbevono fino a splendere, quando si pregano i nove pianeti perchè ci concedano amore e buona sorte."

giovedì 17 marzo 2011

BUON COMPLEANNO, ITALIA!





"Ricordatevi bene quello che vi dico. Perchè questo fatto potesse accadere, che un ragazzo calabrese fosse come in casa sua a Torino, e che un ragazzo di Torino fosse come a casa propria a Reggio di Calabria, il nostro paese lottò per cinquant'anni, e tremila italiani morirono.Voi dovete rispettarvi, amarvi fra tutti voi; ma chi di voi offendesse questo compagno, perchè non è nato nella nostra provincia, si renderebbe indegno di alzare mai più gli occhi da terra quando passa una bandiera tricolore."

Questo scriveva, Edmondo De Amicis nel Libro Cuore, pubblicato nel 1886.
Cos'altro aggiungere? Meditate, gente, meditate...

Buon 17 Marzo a tutti!

domenica 13 marzo 2011

EDMONDO DE AMICIS - Cuore


DOVE:Torino, terza elementare sezione Baretti

QUANDO:
fine '800


So che molti storcono il naso davanti al libro Cuore, ritenendolo niente più che uno stucchevole, superato libro per bambini che non ha più nulla da raccontarci. Eppure io, al di là del valore sentimentale - il bellissimo ricordo di mia nonna, romagnola trapiantata a Roma da 60 anni, che mi raccontava la storia di Ferruccio - ho deciso di scegliere proprio De Amicis per celebrare - nel mio piccolo - i 150 anni dell'Italia unita (tra pochi giorni, il 17 marzo: qui il sito ufficiale con tutte le iniziative).

Perchè è proprio lì che veniamo catapultati fin dalle primissime pagine: in un'Italia neonata, per certi versi ancora incredula, con la voglia di sentirsi unita e di celebrare senza tristezza tutti coloro che, spinti dalla passione per un'ideale, avevano sacrificato la propria vita affinchè i propri figli, i propri successori - noi - potessero vivere il loro sogno. Siamo a Torino, intorno al 1882, in una terza elementare nella quale la tanto sospirata unità nazionale si comincia a toccare con mano; bambini che fino a pochi anni prima sarebbero stati stranieri gli uni per gli altri, provenienti da aree diverse dello stivale che si trovano a condividere, un banco accanto all'altro, un intero anno scolastico. Provate a immaginare cosa voleva dire, allora, spostarsi dalla Calabria a Torino: due mondi diversi, due lingue diverse, due climi diversi. Eppure c'era la voglia di credere nelle potenzialità di questo nuovo stato, c'era ancora la fiamma dell'ideale che ardeva nei petti, c'era il desiderio di sentirsi, prima di tutto, italiani.
E' qui, in questa scuola d'altri tempi - siamo ben prima della riforma Gentile, in epoca di grembiuli, di "buon giorno signor maestro", di Sezioni Maschili e Sezioni Femminili, di medaglie ai primi della classe - che si intrecciano le vicende di piccoli studenti (il buon Garrone, il piccolo "gobbino" Nelli, lo scapestrato Franti, il biondissimo primo della classe Derossi), narrate dalla voce di uno di loro.
Enrico Bottini, questo il suo nome, in un semplice diario ci racconta di un tempo in cui l'infanzia, sebbene spesso costretta ad aprire gli occhi sulla malattia, il dolore, la morte, la miseria, manteneva una sua aura di candida ingenuità, un tempo in cui la figura del maestro ispirava un misto tra timore e rispetto, e nel quale operai, falegnami e fochisti, sfiniti dopo una giornata di lavoro, trovano le ultime forze per frequentare la scuola serale. E, soprattutto, ci racconta le avvincenti storie che il maestro talvolta raccontava loro; più che storie, delle parabole il cui fine è quello di illustrare ai suoi studenti - con esempi concreti - valori come il coraggio, l'amore per il prossimo, la forza morale, l'amore per la famiglia e la patria. Insegnando loro che, molto spesso, grandi sentimenti albergano nei cuori più piccoli; e talvolta proprio in quelli sui quali la maggior parte di noi non scommetterebbe un soldo.
E' vero, il linguaggio può suonare per qualcuno un tantino "impolverato" - anche se io, personalmente, adoro il potere evocativo che il linguaggio ha.. espressioni come "figliuolo dell'erbivendola" hanno il sapore d'altri tempi che poche immagini cinematografiche riescono a dare con identica suggestione - ma la forza dei valori e dei sentimenti non ha tempo nè età.

E l'entusiasmo di un popolo che - ben lungi dal prevedere di dover affrontare due conflitti mondiali ed un Ventennio di dittatura tra uno e l'altro - si scopre finalmente unito; entusiasmo che forse dovremmo provare a coltivare e riscoprire, immedesimandoci in questi uomini e donne di centocinquant'anni fa che, malgrado la miseria riuscivano a scaldarsi al fuoco dei loro valori.

E allora, BUON COMPLEANNO, ITALIA!


UN ASSAGGIO:

"Non furon che due giorni di vacanza, e mi parve di stare tanto tempo senza riveder Garrone. Quanto più lo conosco, tanto più gli voglio bene, e così segue a tutti gli altri, fuorchè ai prepotenti, che con lui non se la dicono, perchè egli non lascia far prepotenze. Ogni volta che uno grande alza la mano su uno piccolo, il piccolo grida: - Garrone! - e il grande non picchia più. Suo padre è macchinista della strada ferrata; egli cominciò tardi le scuole, perchè fu ammalato due anni. E' il più alto e il più forte della classe, alza un banco con una mano, mangia sempre, è buono. Qualunque cosa gli domandino, matita, gomma, carta, temperino, impresta o dà tutto; e non parla e non ride in iscuola: se ne sta sempre immobile nel banco troppo stretto per lui, con la schiena arrotondata e il testone dentro le spalle; e quando lo guardo, mi fa un sorriso con gli occhi socchiusi, come per dirmi: - Ebbene, Enrico, siamo amici?- Mi fa ridere, grande e grosso com'è, che ha la giacchetta, calzoni, maniche, tutto troppo stretto e troppo corto, un cappello che non gli sta in capo, il capo rapato, le scarpe grosse, e una cravatta sempre attorcigliata come una corda. Caro Garrone, basta guardarlo in viso una volta per prendergli affetto."











venerdì 11 marzo 2011

ALESSANDRO BARICCO - Oceano Mare






DOVE: in una locanda in riva al mare
QUANDO: '800

Difficile dare una collocazione spazio-temporale a quest'opera; Baricco infatti, come spesso accade, ti prende per mano e ti trasporta in un mondo sospeso a metà tra realtà a fantasia, che ti pare sempre di essere lì lì per contestualizzare ma che ti sfugge tra le dita proprio quando pensavi di averlo afferrato. Forse sarebbe più semplice dire che la chiave di questo romanzo è tutta nel titolo. Il mare immenso, volubile, talvolta violento che fa da sfondo alle vicende dei piccoli e fragili esseri umani che la sorte ha condotto su una lingua di terra lambita dalle onde, nella Locanda Almeyer. Esseri umani in cerca d'amore, come il romantico Bartleboom, che per anni ha scritto una lettera al giorno alla donna della propria vita, aspettando il momento in cui finalmente l'avrebbe trovata. O in cerca di forza - intesa in senso fisico e morale - come la fragile Elisewin, accompagnata dal fidato Padre Pluche, alla quale è stata raccomandata l'idroterapia quale antidoto alla sua malattia. O ancora, in cerca della perfezione, come Plasson, solitario ed assorto nel tentativo - quanto mai vano - di ritrarre fedelmente il mare, cominciando dai suoi occhi. O in cerca di passione, come l'affascinante ed inquieta Ann Deverià. Ma il vero protagonista del romanzo è lui, il mare; pare quasi di esser rapiti da una folata d'aria marina che ti solleva quando apri il libro e ti trasporta su una spiaggia solitaria, silenziosa, una perfetta distesa di sabbia fine mossa dal vento, spezzata solo da un'altrettanto solitaria figura umana. Se ne percepisce l'odore, lo si sente respirare sullo sfondo delle vite inquiete dei protagonisti, se ne avverte la possenza ricca di fascino in ogni pagina, in ogni parola. Quel mare capace di trasformarsi da quieto specchio iridescente ad un violento spumeggiare rabbioso in pochi istanti, che da millenni affianca la vita umana osservandola con distacco. Osservandola, sì. Perchè il mare, impariamo in questo romanzo, deve pur avere da qualche parte degli occhi.
Non tutti, lo so, amano lo stile letterario di quest'autore. C'è chi, come me, lo ama follemente e chi proprio non riesce a mandarlo giù.
Il segreto, a mio modesto avviso, per comprenderlo, è lasciarsi trasportare. In questo caso, lasciare che Baricco ci conduca in un mondo di salsedine, spuma, sabbia fine, scafi incrostati, vento salato, sciacquio di onde in grado di tramutarsi in un ruggito che inghiotte e squarcia e lacera.
Una storia delicata e poetica che pare quasi dipinta da Plasson con l'acqua stessa di mare in una delle sue innumerevoli tele incompiute.

UN ASSAGGIO:

"Ha 38 anni Bartleboom. Lui pensa che da qualche parte, nel mondo, incontrerà un giorno una donna che, da sempre, è la SUA donna . Ogni tanto si rammarica che il destino si ostini a farlo attendere con tanta indelicata tenacia, ma col tempo ha imparato a considerare la cosa con grande serenità. Quasi ogni giorno, ormai da anni, prende la penna in mano e le scrive. Non ha nomi e non ha indirizzi da mettere sulle buste: ma ha una vita da raccontarle.E a chi se non a lei?
Lui pensa che quando si incontreranno sarà bello posarle sul grembo una scatola di mogano piena di lettere e dirle: “Ti aspettavo.”
Lei aprirà la scatola e lentamente, quando vorrà, le leggerà una ad una, e risalendo un chilometrico filo di inchiostro blu, si prenderà gli anni -i giorni, gli istanti- che quell uomo prima ancora di conoscerla , già le aveva regalato.O forse, più semplicemente, capovolgerà la scatola e attonita davanti a quella buffa nevicata di lettere, sorriderà dicendo a quell uomo: 'Tu sei matto…'
E per sempre lo amerà.”

giovedì 10 marzo 2011

OSCAR WILDE - L'importanza di essere Onesto


DOVE: tra Londra e Manor House, tenuta di campagna nello Hertfordshire
QUANDO: Seconda metà dell'800

In questa deliziosa e arguta commedia uscita dalla penna di Oscar Wilde, veniamo condotti nella composta ed aristocratica atmosfera dell'Inghilterra nella seconda metà dell'800, tra sandwitch al cetriolo, rigogliosi giardini tutti roseti in fiore e cinguettar di uccellini e compitissimi maggiordomi sempre pronti a rispondere alle richieste del proprio padrone porgendo quanto richiesto su un vassoio d'argento. Per intenderci, quel genere di atmosfera aristocratica in cui l'argenteria, ben lungi dall'essere un costoso soprammobile, veniva accuratamente disposta sulle tavole imbandite, e le donne scendevano dalle carrozze avvolte in lunghe vesti fruscianti. E' qui, in una casa londinese, che inizia quella che Wilde stesso definì "commedia frivola per persone serie", quando il giovane Agenore, tanto nobile quanto amante della buona tavola, scopre la doppia vita di un suo amico di vecchia data: Onesto (Earnest nell'originale inglese) Worthing a Londra, Gianni Worthing nella fiorita tenuta di Manor House, dove è l'ineccepibile tutore della bella e romantica Cecilia. Sì, perchè Worthing, per ritagliarsi scampoli di vita mondana nella sua austera veste di tutore, ha inventato di sana pianta un suo scapestrato fratello Onesto, il quale richiederebbe di tanto in tanto la sua presenza nella capitale per porre rimedio ai suoi pasticci. Aggiungeteci poi che lo stesso Agenore, per evadere dalla soffocante austerità della vita londinese e dall'egida della pungente zia Lady Bracknell ha inventato un amico inesistente - il malandato Mr. Bunbury - le cui frequenti malattie e ricadute lo richiamano provvidenzialmente al capezzale quando la rigida etichetta cittadina comincia a stargli stretta. Aggiungete poi che Guendalina, bella cugina del giovane aristocratico, si innamora di Gianni - pardon, Onesto Worthing anche e soprattutto a causa di quel nome così rassicurante e virtuoso, ma che quest'amore è contrastato energicamente da Lady Bracknell, la quale non vede di buon occhio i natali umili del giovane spasimante (orfano, abbandonato in una borsa della stazione di Victoria); e che la piccola Cecilia subisce il fascino di Agenore - spacciatosi per Onesto, il fratello ribelle del suo coscenzioso tutore, e l'intreccio è presto fatto. Un classico della commedia degli equivoci, in cui l'ironia pungente ed inconfondibile di Wilde fa da condimento ad una trama scoppiettante, costruita tutta intorno all'infantile ed ingenuo pregiudizio delle due protagoniste - entrambe convinte di amare Onesto proprio per l'aura rassicurante che il nome sembra emanare.
Leggerlo è come bere una bibita rinfrescante; va giù d'un fiato distentendo dietro di sè un sorriso.

UN ASSAGGIO:

Worthing: "Una giornata deliziosa, signorina Fairfax"
Guendalina: "Fatemi il piacere di non parlare del tempo, signor Worthing. Quando qualcuno mi parla del tempo so già che vuol dirmi tutt'altro. E questo fatto mi rende nervosa."
Worthing: "Infatti voglio dirvi qualche altra cosa."
Guendalina:"Ne sono sicura. Non mi sbaglio mai."
Worthing: "E io vorrei avere il permesso di approfittare dell'assenza di Lady Bracknell..."
Guendalina: "E io ve ne do il permesso. La mamma ha l'abitudine di rientrare in una stanza così all'improvviso che tante volte ho dovuto dirle che fa proprio male."
Worthing (nervoso): "Signorina Fairfax, da quando vi ho conosciuta vi ho ammirata più di tutte le altre ragazze.. che ho incontrate.. da quando ho incontrato voi."
Guendalina: "Sì, me ne sono accorta. E mi farebbe molto piacere se, almeno in pubblico, non foste così espansivo. Per me, voi avete sempre avuto un fascino irresistibile. Anche prima di conoscervi non mi eravate indifferente."
(Worthing la guarda stupefatto) Noi viviamo, come spero che voi sappiate, signor Worthing, in un'epoca di ideali. Questo fatto è di continuo menzionato nelle riviste mensili ed è già persino arrivato fino ai pulpiti di provincia, a quanto mi è stato detto. Ebbene, l'ideale per me è sempre stato sposare un uomo chiamato Onesto. C'è qualcosa nel nome di Onesto che ispira fiducia. Dal momento in cui Agenore mi disse di avere un amico di nome Onesto, ho sentito che ero destinata ad amarvi."
Worthing: "Mi amate veramente, Guendalina?"
Guendalina: "Appassionatamente!"
Worthing: "Tesoro! Voi non sapete quanto mi fate felice!"
Guendalina: "Onesto mio!"
Worthing: "Ma non vorrete dire sul serio che non poterste amarmi se il mio nome non fosse Onesto?"
Guendalina: "Ma il vostro nome è Onesto?"
Worthing: "Sì, lo è. Ma supponiamo che non lo fosse? Volete dire che in questo caso non potreste volermi bene?"
Guendalina (con disinvoltura): "Ah, questa è un'ipotesi astratta, e come la maggior parte delle ipotesi astratte, non ha riferimenti concreti con i fatti della vita reale, che noi conosciamo."
Worthing: "Personalmente, cara, e per dirla proprio con franchezza, non è che il nome di Onesto mi piaccia poi tanto...in fondo in fondo non mi sta affatto bene."
Guendalina: "Invece vi sta alla perfezione. E' un nome divino. Ha una musica tutta sua. Produce delle vibrazioni."
Worthing: "A dire la verità devo dire che secondo me ci sono altri nomi più carini. Per esempio Gianni mi sembra incantevole."
Guendalina: "Gianni? No, non c'è musica o quasi nel nome Gianni. Anzi, non ce n'è proprio nessuna. Non dà il minimo fremito, la più piccola vibrazione... Ho conosciuto molti Gianni ed erano tutti senza eccezione anche più insignificanti della media nazionale. E poi lo sanno tutti, Gianni è solo il diminutivo di Giovanni! E io provo solo compassione per una donna che abbia sposato qualcuno che si chiami Giovanni. Probabilmente non conoscerà mai il piacere squisito di un momento di solitudine: i Giovanni sono appiccicosi. No, l'unico nome davvero sicuro è Onesto."

mercoledì 9 marzo 2011

MA GRAZIE ^_^ !

( PREMESSA: Sono una semi-novellina, nel mondo dei blog... perciò se dovessi commettere qualche imperdonabile infrazione a quella che è l'etichetta prevista in caso di premi.... pietà! ^_^ )

Dico la verità, sono molto, molto orgogliosa di questo premio. Mi sono affacciata timidamente al mondo dei blog un annetto fa, prima dando spazio ai miei pasticci soprattutto culinari, poi prendendo coraggio e dando spazio a quello che è decisamente il mio primo amore: i libri.
Ero alquanto scettica, a riguardo; nonostante da internet avessi ricevuto piacevoli - e rassicuranti - conferme che esiste ancora un mondo di donne che, al di là degli stereotipi moderni, ama la cucina, il punto croce, il cucito e gli hobby creativi, dubitavo che ci fosse spazio per i topi da biblioteca.
Per questo scoprire i post di Sylvia e Nicky è stata una sorpresa insapettata e piacevolissima ^_^.

E' con enorme piacere, quindi, che "rimbalzo" questo premio a:

1) COOKTHELOOK, con la sua atmosfera che profuma di dolci appena sfornati ;
2) CHOCOLATE ROSE, perchè dalle sue mani nascono capolavori che sembrano uscire dal Paese delle Meraviglie;
3) JAPAN THE WONDERLAND, perchè mi porta con un click tra i colori e i profumi di una terra che, prima o poi, calpesterò coi miei piedoni ( e dove scappa, è sulla mia lista dei "viaggi da fare assolutamente"!!)
4) GEORGIANA'S GARDEN, deliziosamente Vittoriano;
5) COOKINGMOVIES, con il suo sfizioso abbinamento cinema&cucina;
6) PICCOLO SOGNO ANTICO , con la sua atmosfera incantevolmente retrò
7) PARENTESICULINARIA, perchè viaggiando viene fame, e cosa c'è di meglio che accompagnare un buon libro con una delle sue delizie?
8)IL GRUPPO DI LETTURA BRYCE'S HOUSE, in questo momento immerso in quel capolavoro senza tempo che è Orgoglio e Pregiudizio;
9)NELLA CUCINA DI ELY, che oltre a ricette da mangiare con gli occhi propone la bellissima iniziativa del Libri Vagabondi (cliccate sull'immagine a lato nel mio blog per ulteriori info!)
10) e infine, last but not least, GENIGENITORI (ora trasferito qui, DIARIODICUCINA), perchè da mamma non posso non ammirare le creazioni di Letizia ^_^ .. e prenderne nota!

Elencare dieci cose su di me mi mette più in difficoltà, dal momento che tendenzialmente preferisco tenermi un po' in ombra... ma siamo in ballo, e dunque balliamo:

1) Adoro i mercatini. Mi piace pensare che gli oggetti possano avere una seconda, una terza ed una quarta vita. E che custodiscano, nel loro silenzio, il segreto di donne d'altri tempi che prima di me se ne sono prese cura.
2) Ho la fortuna di avere un enorme castagno proprio davanti alla finestra della camera da letto, dietro il quale, all'orizzonte, nelle giornate limpide posso veder splendere il mare.
3) Sogno di possedere, un giorno, un bulldog inglese. Anche se probabilmente, quando avrò la possibilità di prendere un cane, lo sceglierò in un canile.
4) Il primo libro che ricordo di aver letto - da sola, intendo -è stato Pinocchio. A seguire, Alice nel Paese delle Meraviglie e Il Piccolo Principe.
5) Il mio scheletro nell'armadio? (parlando di libri, ovvio) Ho provato per ben due volte a leggere Uno, Nessuno, Centomila di Pirandello, ma tutte e due le volte non sono riuscita ad arrivare in fondo.
6) Mi piace fare foto. Tante. Per qualcuno troppe.
7) Ho avuto la fortuna di vedere un pezzetto d'Africa. E lo porto nel cuore; c'è un che di confortante nel sapere che in questo momento, da qualche parte, gli elefanti camminano tranquilli in branco, incuranti dei nostri piccoli drammi.
8) Ho la lacrima facile. Perfino il finale di Cars - che mio figlio mi ripropone un giorno sì e uno no - mi fa sciogliere.
9) Mi piace il punto croce. Fosse per me, crocetterei tutto.
10) Dovunque mi trovi, davanti ad una bancarella di libri provo l'incontenibile impulso di "dare un'occhiata". Occhiata che, di solito, dura dai tre quarti d'ora all'ora, e culmina con l'acquisto di due o tre volumi ^_^.

Bene, spero di aver fatto tutto come si deve... ^_^
Grazie ancora a Nicky, a Sylvia e a tutti coloro che, con i loro commenti, alimentano questo blog!











martedì 8 marzo 2011

HARDEEP SINGH KOHLI - Indian takeaway

DOVE: in viaggio attraverso l'India
QUANDO: ai giorni nostri

Sono, lo ammetto, affetta da una vera e propria dipendenza da lettura. Quel tipo di dipendenza che ti spinge perfino al supermercato a trascinare il tuo cestino pieno fino al reparto libri, così, tanto per "dare un'occhiata". Ed è stato così, frugando nello scatolone delle occasioni, che mi sono imbattuta nel più particolare dei viaggi: quello di un indiano di etnia Sikh nato e cresciuto a Glasgow tra gli sguardi di chi non capiva come alla domanda "di dove sei?" quel bambino dalla pelle olivastra e i capelli nascosti dal turbante potesse rispondere "Bishopbriggs". E, divenuto adulto, decide di partire alla ricerca delle proprie radici in un modo tutto particolare; grande appassionato di cucina, convinto del potere della tavola come mezzo per unire i popoli, sceglie in ogni tappa del suo viaggio uno o più commensali ed un piatto della cucina scozzese, debitamente rielaborato e riadattato con ingredienti locali. Prendete posto dunque, e affinate i sensi; attraverso treni pittoreschi, affollati di un variegato campionario di umanità; su scalcagnati ma intrepidi furgoncini, in grado di inerpicarsi su esili sterrati aggrappati sull'orlo del baratro; nei contrasti delle scintillanti metropoli, spinte verso una modernità che sembra sempre sul punto di sfuggire attraverso le dita, fin sui lacerati e silenziosi orizzonti del Kashmir conteso. Davanti ai vostri occhi, si apre l'India colorata, paziente, speziata, umida ed affollata, con il placido pascolare dei buoi in mezzo alle città e il neo-colonialismo degli hippy dell'ultim'ora, cristallizzati nella psichedelia degli anni 70 ed approdati nel subcontinente in cerca di sè stessi.
In mezzo a tutto ciò, Hardeep taglia, impasta, assaggia, soffrigge, bolle, impastella, assapora, sperimenta, scola, sminuzza, frigge descrivendoci minuziosamente sapori e profumi di due cucine - quella scozzese e quella indiana - che negli anni, hanno contribuito a costituire una fitta rete di ricordi gastronomici, e raccontandoci con sottile ironia i contrasti di una terra dalla cultura millenaria.

Perchè la ricerca di "casa" passa anche attraverso la cucina.

UN ASSAGGIO:

"Posso andare in qualunque parte del mondo, ma pochi paesaggi riusciranno ad essere sfavillanti, magnetici e pieni di vita come la banchina di una stazione di treni in India. C'è sempre qualcosa da guardare e qualcosa da fare, a prescindere da che ora è. Mentre sorseggio una tazza da cinque rupie di tè dolce, vedo frotte di gente intenta a consumare pietanze dall'aria squisita. Inevitabilmente mi viene fame. E' ora di pranzo. Ma mangiare in una stazione dei treni è un'idea avventata, quasi quanto mangiare il rajmal chawal a Peeda.
Mi siedo alla caffetteria della stazione, un posto sorprendentemente arioso e luminoso con una manciata di tavoli che sembrano perdersi nella sala spaziosa. Dietro il bancone, un eterogeneo staff di camerieri di età variabile: non si fa servizio al tavolo.
Leggo il menù su un tabellone stile anni Settanta, molto retrò, in cui ogni singola lettera di plastica bianca di ogni parola di ogni piatto è stata accuratamente pigiata dentro la plastica perforata del tabellone. Probabilmente deve essere stato questo lavoro certosino a suscitare l'arroganza dei tizi al bancone."

mercoledì 2 marzo 2011

LOUISA MAY ALCOTT - Un lungo, fatale inseguimento d'amore


DOVE: tra Inghilterra, Germania, Francia e Italia
QUANDO: Diciannovesimo secolo

Quando sei una ex bambina/adolescente cresciuta a pane e "Piccole Donne" che s'imbatte, una volta adulta, in un libro della Alcott con un titolo tanto accattivante, non c'è che una sola, inevitabile conclusione: arraffi il libro dalla bancarella - col timore che un'altra "alcottiana", sbucando dal nulla, te lo sfili da sotto il naso - e ti avvii trionfante con le tue monetine tra le dita, già pregustando il momento in cui potrai immergerti di nuovo in quel mondo di crinoline, pianoforti e ampie gonne fruscianti.
A dire il vero, in questo libro siamo lontani anni luce dal rassicurante tepore familiare di casa March; la storia ha infatti inizio in una remota isola al largo delle coste inglesi, uno scoglio inospitale battuto dal vento sopra al quale cresce e sogna la romantica Rosamond Vivian.
Orfana, cresciuta da un nonno a dir poco burbero,con la sola compagnia dei romanzi che divora a dozzine, cullata dal russare del mare in lontananza, Rosamond è passionale, ingenua, idealista.
E quando, nella sua solitaria esistenza, il destino fa irrompere il seducente Phillip Tempest, condotto fin lì dalla rabbia di un mare in burrasca, con quel nome che ha il sapore della libertà e dello sferzare salato delle onde, il cuore della giovane Rosamond non può che lasciarsi andare. Affascinata, desiderosa di libertà, guidata dal desiderio di vivere sulla propria pelle le emozioni dei libri, lascia la sua inospitale isola e, divenuta sua moglie, lo segue sulla terraferma; ben presto però le rose mostreranno tutte le loro spine e l'affascinante e misterioso marito lascerà trasparire un lato tutt'altro che romantico, che spingerà la spaventata - ma avventurosa - moglie ad una rocambolesca fuga attraverso l'Europa. Nella spoglia penombra di una soffitta parigina, nei corridoi silenziosi di un austero convento, nella soleggiata e scintillante Nizza, in un manicomio: dovunque la sua fuga la porti, la piccola e tenace Rosamond sembra non avere scampo, di fronte ad un inseguitore che le tiene il passo attraverso Germania, Francia e Italia.
Riuscirà la giovane e sfortunata sognatrice ad uscire infine dall'incubo che sembra stringerla in una morsa serrata?
Un libro che si lascia leggere con semplicità, ricco di tutta la suspence che il titolo promette, tra intrighi, pallottole e incombenti minacce.

UN ASSAGGIO:

"A una seconda e più attenta ispezione scoprì la prova che un altro piede oltre al suo era passato recentemente di lì. Nel venire aveva visto uno degli allegri anemoni scarlatti che spuntano dovunque in mezzo ai sentieri e aveva evitato con cura di calpestarlo; ora giaceva malamente piegato da un passo frettoloso e mentre lei lo osservava, lo stelo si raddrizzò lentamente come se fosse stato schiacciato di recente.
'Julie! Lucille!' chiamò Rosamond, pensando che potesse essere stata una delle cameriere che aveva scelto la grotta come luogo di convegni amorosi ed era sfuggita spaventata dalla sua presenza. Non ricevette risposta, ma il suo orecchio captò un fruscio di foglie a una certa distanza. Lo seguì a passo rapido, sbirciando nella penombra profumata dell'aranceto a destra e a sinistra, ma invano, giacchè non vide anima viva tranne Giuseppe, che trovò adagiato sull'erba all'imboccatura dell'unico sentiero che portava alla grotta.
'Hai visto Justine in giardino?' chiese Rosamond, sicura che il ragazzo avesse incontrato l'intrusa chiunque essa fosse, se era passata di lì.
'No, Madame, ho visto soltanto Mademoiselle Bahette che viene a giocare con me' e scoprì i denti bianchi, mentre carezzava sorridendo la piccola antilope che brucava l'erba accanto a lui.
'Sei sicuro che non sia passato nessuno, Giuseppe?'
'Nessuno, Madame, può credermi. Non c'è altra strada per andare alla sorgente e le domestiche non ci vanno mai di notte; hanno paura, dicono che ci sia un fantasma. Forse Madame lo ha visto?' Il ragazzo sgranò gli occhi neri con tale genuina curiosità e timore che Rosamond non potè dubitare della sua sincerità."

martedì 1 marzo 2011

DOMENICO STARNONE - Ex cattedra



DOVE: in una scuola superiore della periferia romana
QUANDO: anno scolastico 1985-1986

L'arguta penna di Starnone ci trascina nell'irresistibile descrizione della vita di un professore, snocciolata in forma di diario attraverso un solo anno scolastico, a cavallo tra il 1985 e il 1986. Con uno stile sciolto ed irresistibilmente accattivante, aiutato dall'esperienza autobiografica dell'autore - egli stesso un insegnante - ci addentriamo così in un mondo al quale tutti noi, per un periodo della nostra vita, apparteniamo, guardandolo però attraverso gli occhi di un professore. Un mondo nel quale i professori sembrano inerosabilmente intrappolati da un malefico incantesimo che li costringe, come il Ritratto di Dorian Gray, ad invecchiare anno dopo anno mentre intorno a loro la gioventù si rinnova con i propri colori. Dove studenti dai nomi vagamente pittoreschi - Timballo Daniele, Martinelli Stefy, Menegozzi Catia con la "C" - tra gite scolastiche, autogestioni e minacciosi comunicati del preside cercano a loro modo il loro posto nel mondo. Dove i professori prendono l'odore stantio dei panini al tonno costretti a trangugiare nei periodi di scrutini, quando restano prigionieri di estenuanti votazioni ed altrettanto estenuanti discussioni per cercare di strappare un misero punticino al collega intransigente. Un libro breve che si sorseggia d'un fiato come un caffè, e che in un battito d'ali ci porta attraverso le stagioni, la polvere dei cancellini, l'eco della campanella nei corridoi, il ciabattare svogliato dei bidelli. e che consiglio vivamente soprattutto a chi, come me, avendo degli insegnanti in famiglia saprà apprezzare ancor di più l'ironico dipanarsi di un inconsueto "dietro le quinte" della scuola italiana.

UN ASSAGGIO:

"Ora vago per i corridoi, in una scuola che sta tra la sezione staccata del tribunale dell'Inquisizione e un lazzaretto nel pieno della pestilenza. Nelle classi c'è poca gente. La gran parte degli studenti o si sta appiccicando nozioni nei cessi o si sta facendo interrogare fuori orario, una domandina veloce in un'altra classe, in sala professori, in biblioteca. Molti invece si aggirano con gli occhi rossi lanciando bestemmie e non c'è giorno che non si veda qualche studentessa distesa su due banchi priva di sensi, mentre l'amica del cuore strilla : "aria, aria!" E il preside arriva gridando: "chiamate l'insegnante di educazione fisica", una categoria che lui considera piena di medici e taumaturghi, visto che sa un po' d'anatomia."