venerdì 29 marzo 2013

ANDREJ KURKOV - L'ultimo amore del Presidente

DOVE: Ucraina
QUANDO: tra il 1985 e il 2016

Un romanzo insolito, difficile per certi versi perfino da catalogare in pochi tag. Tanto per cominciare, il racconto procede in un bizzarro parallelismo tra passato (tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '90 in quella che si apprestava a diventare l'ex Unione Sovietica,), presente (a cavallo tra il 2004 e il 2005) e futuro ( 2015-2016).
Il protagonista, Sergej Bunin, adolescente inquieto e sfaccendato ignaro che diventerà, di lì a una ventina d'anni, il Presidente di una Repubblica germogliata come molte altre dalle macerie della possente e compatta URSS, vive la sua vita fatta di litri di vodka, ghiaccio che attanaglia per mesi la città in una morsa rigida e scivolosa, solitari bagni nell'acqua gelata, amori più o meno combattuti, vita quotidiana con una madre mite ma ostinata ed un fratello malato di mente. E' qui che inizia tutto, in una Kiev ghiacciata e solitaria, che vedrà scorrere tutta la vita di un ragazzo che dalle ubriacature incoscienti dei vent'anni passerà, pagina dopo pagina, ad una vita misurata fatta di silenziose presenze pronte a consigliare, portare il caffè, comparire al suono della sua voce e sparire dalla stanza ad un suo cenno, in un palazzo presidenziale troppo grande per un uomo solo.
Perchè, al di là di tutto, quella che seguiamo qui oscillando in continuazione negli anni, è la vita di un essere umano come tanti, uno che insegue l'amore e trova il sesso, le convenzioni, i sentimenti che si sfilacciano come sabbia tra le dita malgrado tu faccia di tutto per trattenerli.
E, come se non bastasse, il suo cuore di Presidente si mette a fare le bizze, costringendolo ad un trapianto. Ma che succede se la vedova del donatore chiede di firmare un insolito contratto che le consenta di rimanere accanto al cuore del marito? E il cuore trapiantato, siamo certi che sia proprio affidabile? E che quei bizzarri "capriccetti" che presto manifesta, siano solo frutto del caso, piccole scosse di assestamento di un organo ritrovatosi suo malgrado in un corpo estraneo?
E, nella girandola vorticosa degli anni, mentre noi scivoliamo in continuazione tra passato e futuro, tutto attorno cio' che resta immutabile e' il freddo, immenso, possente inverno russo, che ghiaccia Kiev osservando in silenzio i fiati nebulosi degli esseri umani, affaccendati ad intrecciare, anno dopo anno, i fili delle loro vite.

UN ASSAGGIO:
"Kiev, maggio 1975, domenica notte:
Nell'aria c'è un profumo misto di acacie e castagni in fiore. Ho quattordici anni. Ritorno a piedi dal centro dopo aver fatto un po' di bisboccia. Percorro una strada assolutamente deserta. La Tupolev. A sinistra, una fabbrica di aerei, a destra la palizzata di un'azienda agricola. Oltre la palizzata, il lieve chiarore dell'illuminazione artificiale: ai primi pomodori e cetrioli non è consentito dormire, nelle serre. Sento dei passi in lontananza. E anche i miei. Accordo la mia cadenza su quella di chi mi sta venendo incontro. Poi lo vedo.Procede dal lato opposto: osserviamo entrambi la regola di tenere la destra (benchè ancora ignori che c'è chi tiene la sinistra). "Da dove vieni?" urlo a quello che mi sembra un coetaneo. "Dalla Bljucher, metrò Svjatosino!" Risponde. "Io dalla Saksaganskij, metrò Tupolev!". Poi ci strilliamo l'un l'altro "Buona fortuna!" e ci incrociamo. La distanza tra noi comincia ad aumentare. Ho perso il ritmo dei suoi passi, che a poco a poco non si sentono più, come non sento ormai nel mio corpo il porto appena bevuto. Sulla destra è comparso il nostro 'mezzo giardino e mezzo parco', oltre il quale iniziano le file a scacchiera delle chruscevke. La prima fila è il blocco sedici, io vivo nella seconda casa della seconda fila, al 18A. Quinto piano. Ho in tasca la chiave, con la quale cercherò di aprire la porta senza farmi sentire. Ma non appena svolto nel cortile, noto la luce accesa nella nostra cucina. Sono atteso... ci saranno dieci minuti di maretta. Poi tutto si cheterà. E arriverà il lunedì."

domenica 24 marzo 2013

sulla nostalgia e sulle edizioni economiche della Newton Compton..

Doverosa premessa: non sono un'ingenua. So benissimo che dietro le case editrici ci sono degli interessi economici e commerciali che vanno ben al di là della mera diffusione della cultura letteraria. Ma voglio lo stesso dedicare un post - un tantino fuori tema rispetto al mio standard di recensioni, ma neppure troppo - ad una iniziativa editoriale a mio parere fantastica, eppure ormai divenuta un ricordo: le edizioni super economiche della Newton Compton, quelle che con mille, duemila, tremila lire ti consentivano di portare a casa i più grandi classici della letteratura italiana e straniera, la poesia, i classici latini e greci, le opere teatrali.
Chi è di Roma ricorderà il negozietto di via del Corso, poco lontano da Piazza del Popolo, con le decine e decine di libri allineati sulli scaffali, ciascuno con la sua colorazione. Nero, per i classici brevi ed i racconti. Rosso per il teatro. Verde e giallo, per i classici più corposi, e così via.
Io ero allora un'adolescente sognatrice, amante della lettura, curiosa. E con un budget limitato - che allora si chiamava "paghetta" - e tanta voglia di libri. Ed ecco che, come per incanto, bastava avere in tasca diecimila lire per poter uscire dalla libreria con una busta piena; e soprattutto, per una piccola banconota da mille ci si poteva togliere lo sfizio e provare ad immergersi nella lettura di qualcosa di impegnativo, o di insolito, con la consolazione che, mal che vada, avevi perso mille lire.
Ci si lamenta che in Italia si legge poco, ma non era quella una splendida iniziativa per invogliare a leggere?
E' stato così che mi sono accostata ad alcuni classici con la "C" maiuscola, dal Dracula di Bram Stoker al Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare. E' stato così che, incuriosita, ho scoperto un'insolita Louise May Alcott in Un lungo, fatale inseguimento d'amore, ho scoperto una Parigi futuristica e visionaria in Parigi nel XX secolo di Jules Verne, ho incontrato un'affascinante vampira in Carmilla. E ancora, il Frankestein di Mary Shelley, la filosofia di Gibran, gli epigrammi di Marziale, gli aforismi di Leonardo Da Vinci; le rocambolesche avventure della Primula Rossa, racconti gotici, per arrivare ad un classico della cinematografia come il Fantasma dell'Opera.
Storie di tutti i tipi e per tutti i gusti, ad un prezzo più che popolare ^_^.
Quale che sia la motivazione dietro la scelta editoriale di togliere dalla circolazione i classici della letteratura a cinquanta centesimi, uno o due euro, resta per i lettori onnivori come me - una, per capirci, che si è "pappata" Anna Karenina prendendo il sole sulle spiagge di Rodi ^_^ - la nostalgia per i vecchi tempi.
Quando con cinquemila lire in tasca, ti pareva di avere in mano un capitale.

venerdì 8 marzo 2013

ROSA MONTERO - Storia del Re trasparente

DOVE: Francia
QUANDO: XII secolo

Sarà banale, ma per l'otto marzo ho scelto un libro che parla di donne. Anzi, di una donna, ma di una donna speciale, creata dalla penna di una scrittrice spagnola ed in grado di incarnare in sè le due anime contrastanti del Medioevo: da un lato il sangue, le lame affilate, le urla e la calca polverosa della battaglia; dall'altro, l'eleganza dei cavalieri che si confrontano nei tornei, le dame eleganti, l'amor cortese puro e poetico.
Lei, la protagonista, è una giovanissima contadina, Leola, costretta alla fine di una durissima giornata di lavoro uguale a tante altre - nei campi, mani scorticate, sudore e polvere ad avvolgere il corpo come un velo - completamente sola. Attorno a lei, l'orrore di un campo di battaglia al tramonto, i lamenti dei morenti, il sangue vischioso che penetra nel terreno, i cadaveri ancora chiusi nelle loro inutili armature, simili a grossi insetti. Gli Uomini di Ferro - quelli che continuamente si combattono, signorotto contro signorotto, imbrattando i loro campi sudati con la loro cieca violenza - si sono portati via suo padre e suo fratello, oltre al suo amore Jacques; ed a lei non resta altro da fare che fuggire. Ma come potrebbe mai, una giovane sola, sopravvivere al mondo maschio e violento in cui il destino ha voluto che nascesse? Ed ecco che, nella sua mente, balena l'unica via di salvezza: rubare l'armatura ad uno dei morti, ed indossarla. Non più Leola, ma Leo.
Detto, fatto; indossata l'armatura, viaggiamo assieme a lei  alla ricerca del suo amato attraverso la Francia del XII secolo e le sue contraddizioni, tra supertizione, incantesimi, brutale fanatismo religioso e antiche leggende. Come quella del Re Trasparente, nella quale Leola/Leo s'imbatte più volte, senza mai riuscire a conoscerne l'epilogo.
Assieme a lei la focosa e colta Nyneve, a suo dire una strega senza età, che indossati anch'essa indumenti maschili decide di accompagnarla in qualità di scudiero.
Una storia delicata eppure forte, nella quale con gli occhi puri di una giovane plebea osserviamo l'Europa buia, selvaggia, in cui centinaia di individui si muovono a piedi o a cavallo, chi inseguendo un ideale, chi trascinato dalle fiamme della fede, chi ancora in fuga da un segreto.
Un'epoca affascinante, nella quale gli idealisti sognano vivono nel culto di Avalon, con i suoi ideali, la sua lealtà, i suoi saldi valori, mentre molti si lasciano trascinare . dalla fede o dai meri interessi economici - verso l'ennesima, sanguinosa guerra.
Solida come un cavaliere ma sensibile come una dama, Leola/Leo scivola attraverso tutto ciò combattendo, amando, sperando, provando pietà.
Una bellissima storia di una donna nata serva, e morta libera.

UN ASSAGGIO:
"Obbediente, con una docilità poco adatta ad un cavaliere, sia pure un cavaliere senza cavallo, tiro fuori la borsa e mostro le monete. L'oste ci pensa su e torna a sedersi accanto a noi.
'Va bene. Vediamo un po' 'ste famose carte magiche'
E' un uomo piuttosto alto, con un po' di pancia, e si sorregge su due gambe incredibilmente magre. Si gratta il mento mal rasato con un'aria burlona e sputa per terra, in mezzo alle ginocchia ossute.
'E sono famose per davvero' dice la mia amica 'Non hai mai sentito parlare delle potentissime carte italiane, il Tarocco segreto?'
Nyneve ha tirato fuori dall'inesauribile tasca un mazzo di cartoncini colorati. Li distende sul tavolo; sono lisci e incerati e mostrano le figure più singolari: re maestosamente abbigliati, soli e lune, impiccati e scheletri dall'aspetto inquietante. L'oste si china sulla tavola son interesse.
'Ah, e così queste sarebbero quelle nuove carte tanto strane? Avevo sentito parlare della loro esistenza.'
'Sono nuove per noi. Ma il loro sapere è antico come la terra che t'uinsudicia le scarpe. Mescola e taglia.'

giovedì 7 marzo 2013

MURAKAMI HARUKI - Kafka sulla spiaggia


DOVE: Giappone, tra Tokio e Takamatsu
QUANDO: ai giorni nostri

E' sempre difficile, delineare una trama quando si parla di Murakami Haruki; perchè pochi come lui hanno la capacità di farti costantemente oscillare tra reale e immaginario, fino al punto in cui perdi totalmente l'orientamento e lasci che siano semplicemente le sensazioni a cullarti. Per quanto mi riguarda, già un romanzo ambientato in Giappone è capace di farmi perdere la via del ritorno, talmente lontano è quel mondo che ho potuto ahimè visitare solo attraverso le pagine dei libri. E quando poi in quella terra di treni dalla velocità spaziale, udon, inchini, megalopoli e laghetti in cui si specchiano ciliegi fioriti, si aprono a un tratto le porte per un mondo fantastico, beh, una come me ci va a nozze.
Figuriamoci poi quando il tutto ruota attraverso una biblioteca, l'austera, antica, silenziosa biblioteca Komura entro la quale si muovono figure a metà tra il reale e l'onirico, come la dolce, triste e misteriosa signora Saeki e l'efficiente e quieto signor Oshima, con le matite dalla punta sempre perfettamente affilata. E' proprio qui che l'adolescente Kafka trova riparo nella sua fuga da Tokio e da un padre distante, rimanendo avviluppato in un intrico di dolce quiete, lontani segreti e soprattutto di ricordi malinconici. E mentre il ragazzo incuriosito cerca di ripercorrere la storia della signora Saeki e del suo sfortunato amore di gioventu', in un quartiere di Tokio si aggira un vecchio strambo - più che strambo, ingenuo - che non solo pretende di saper parlare con i gatti, ma di questa sua capacità ha fatto addirittura un mezzo per arrotondare l'esiguo sussidio che il governo fornisce a quelli come lui, ritrovando i gatti smarriti.
Peccato che anche il vecchio, ingenuo signor Nakata finisce per ritrovarsi impelagato in una storia più grande di lui, quando resta coinvolto, suo malgrado, in un omicidio dai contorni oscuri. E allora, cosa fa? Fugge, naturalmente, via dal caos metropolitano di Tokio, seguendo una voce interiore che gli dice dove andare.
Inutile dire che ben presto la sua strada intreccerà quella del quindicenne Kafka...

UN ASSAGGIO:
"Mentre sono seduto sul divano e mi guardo intorno, mi accorgo che la sala è il posto che stavo cercando da tempo. Sì, stavo cercando esattamente un posto così, nascosto in una nicchia del mondo. Fino ad ora, però, era stato per me solo un luogo fantasticato e segreto. Non riesco a credere che esistesse davvero da qualche parte. Chiudo gli occhi, inspiro a fondo, e l'aria rimane sospesa in me com una nuvola dolcissima. E' una sensazione meravigliosa. Accarezzo lentamente col palmo della mano il divano ricoperto da un rivestimento color crema. Mi alzo, vado davanti al pianoforte, sollevo il coperchio e provo a posare delicatamente le dieci dita sulla tastiera ingiallita. Abbasso il coperchio e faccio qualche passo sul vecchio tappeto dal disegno di grappoli d'uva. Provo a girare una vecchia maniglia che serve ad aprire e chiudere la finestra. Accendo e spengo una lampada da terra. Guardo a uno a uno i quadri appesi alle pareti. Poi torno a sedermi sul divano e ricomincio a leggere dal punto in cui avevo lasciato. Mi concentro sul libro.
Verso mezzogiorno tiro fuori dallo zaino l'acqua minerale ed il cestino con il pranzo e mi siedo a mangiare sulla veranda che dà sul giardino. Si avvicinano degli uccelli: volano da un albero all'altro e scendono sull'orlo del laghetto a bere o a darsi una rinfrescata."

mercoledì 6 marzo 2013

GASTON LEROUX - Il Fantasma dell'Opera

DOVE: Parigi
QUANDO: agli inizi del 1900

Niente di meglio di una giornata di pioggia e vento come questa per concedersi un viaggetto assolutamente insolito, sia per l'ambientazione - perchè gran parte della storia si svolge negli intricatissimi corridoi dell'Opera di Parigi, che snodandosi dietro le quinte discendono fino al sottosuolo - sia per la storia in sè. Una tazza di tè bollente, un bel plaid caldo, ed eccoci pronti per immergerci in un mondo scintillante e leggero, quello in cui le giovanissime allieve della scuola di danza svolazzano chiassose, le più belle Voci della lirica si lasciano coccolare dai propri ammiratori dentro sontuosi e fioritissimi camerini e una miriade di invisibili, operosi aiutanti muove gli innumerevoli ingranaggi di quella straordinaria macchina che è il Teatro dell'Opera di Parigi. Siamo agli inizi del Ventesimo secolo ed è proprio lì, che sboccia - o sarebbe meglio dire, rinasce - l'amore tra il giovane Conte di Chagny e la bellissima Christine Daaè, astro nascente del bel canto parigino. Tutto potrebbe filare liscio come l'olio, se non fosse che la cantante porta nel cuore un terribile segreto, che teme di confidare perfino al suo fedele spasimante. Chi è il misterioso Angelo della Musica che ogni sera le dà lezioni private nel suo camerino? E il temibile Fantasma dell'Opera, che estorce denaro ai direttori del teatro tenendoli sotto scacco con la minaccia di sanguinose sventure, e che molti giurano di aver visto aggirarsi dietro le quinte, esiste veramente? E chi è il misterioso Persiano, che si aggira anch'egli come un'ombra nei corridoi del teatro, e che pare conoscere più a fondo di chiunque altro la storia del Fantasma?
Quando poi, in circostanze misteriose, la Daaè viene rapita - rapimento che non è che il culmine di una serie di piccole sparizioni ed altrettanti incidenti che tempo prima avevano cominciato a turbare con la loro aura sovrannaturale la quiete del Teatro - mentre la polizia brancola letteralmente nel buio il Conte decide di agire...
Un classico dell'orrore e delle storie d'amore disperato, in grado di trasmettere ancora qualche sano brivido d'inquietudine - a patto che ci scrolliamo di dosso un po' del nostro distaccato scetticismo da Ventunesimo Secolo ed accettiamo di lasciarci guidare dal potere delle parole. Perchè, diciamolo, anche abituati come siamo a saturarci di immagini  e suoni che poco spazio lasciano alla nostra fantasia, è bello ancora cedere di tanto in tanto alla bellezza del racconto scritto, che mentre fuori il vento fischia minaccioso ci consente, nel silenzio della nostra casa, di percepire quegli stessi scricchiolii che tanto fanno sussultare il Conte di Chaigny mentre discende nei sotterranei dell'Opera, in cerca della sua amata.

UN ASSAGGIO:
"Quella sera - proprio quella sera in cui i signori Debienne e Poligny, direttori dimissionari dell'Opera, davano la loro ultima serata di gala in occasione del loro commiato - il camerino della Sorelli, una delle stelle della danza, fu improvvisamente invaso da una mezza dozzina di quelle signorine del corpo di ballo che risalivano dalla scena dopo aver danzato Polyeucte. Vi si riversarono facendo una gran confusione, alcune scoppiando in risate eccessive e poco naturali, altre in grida di terrore.
La Sorelli, che desiderava restare sola per un istante per "ripassare" il discorso di saluto che doveva pronunciare poco dopo nel foyer della danza dinanzi a Debienne e Poligny, aveva assistito seccata a tutta quella folla sventata che si era precipitata da lei. Si girò verso le compagne e si adirò per quell'agitazione così tumultuosa. Fu la piccola Jammes - un naso caro a Grevin, occhi di mysotis, guance di rosa, un seno di giglio - a spiegarne la causa in tre parole, con una voce tremante, soffocata dall'angoscia:
'E' il Fantasma!'e chiuse la porta a chiave. Il camerino della Sorelli era di un'eleganza ufficiale e comune. Una psiche, un divano, una toeletta e qualche armadio ne costituivano l'essenziale arredo. Poche incisioni dulle pareti, ricordi della madre, che aveva conosciuto i bei giorni del vecchio Teatro dell'Opera di rue Le Peletier. Ritratti di Vestris, di Gardel, di Dupont, di Bigottini. Quel camerino sembrava un palazzo alle ragazzine del corpo di ballo, che erano sistemate in stanzette comuni dove trascorrevano il tempo cantando, litigando, picchiando i parrucchieri e le vestiariste, pagandosi bicchierini di cassis, di birra o magari di rhum, fino all'ultimo scampanellio di avvertimento."