domenica 6 maggio 2018

JOSE SARAMAGO - Cecità


DOVE e QUANDO: in un luogo e un tempo non meglio specificati, da qualche parte negli anni'90.

Ecco uno di quei libri che ti colpiscono con la potenza di un pugno allo stomaco. Disturbante, anche se a questo termine non voglio dare un'accezione completamente negativa, anzi. Ma come altro potrei definire un libro che, con semplicità e scorrevolezza ci pone davanti agli occhi tutta la cruda brutalità ed abiezione di cui noi esseri umani siamo capaci?
Un libro certo scorrevole ma che non consiglio a chi sia in cerca di letture leggere, spensierate, da ombrellone. Eppure un libro da leggere perchè spinge all'introspezione ed ad una attenta riflessione sulla natura umana.
Siamo da qualche parte, in una banalissima città come tante, più o meno intorno agli anni '90, quando improvvisamente qualcosa accade a stravolgere la quotidianità dei suoi abitanti. Una bizzarra epidemia di cecità, che pare colpire rapidamente e inaspettatamente i suoi cittadini, i quali di punto in bianco si ritrovano avvolti in una sorta di buio lattescente.Panico, naturalmente. Disperazione. Vite che di punto in bianco si ritrovano completamente stravolte, medici disorientati che frugano i loro voluminosi libri in cerca di risposte, un Governo che - in un primo momento - pare essere in grado di gestire con calma e lucidità la situazione. Gli ammalati vengano immediatamente isolati dalla popolazione sana, mentre la scienza si occupa di cercare una soluzione al "mal bianco".
Individuato il luogo idoneo - un vecchio ospedale psichiatrico dismesso - il solerte Governo provvede subito a deportarvi gli ammalati, in completo isolamento dal mondo esterno, promettendo tre consegne di cibo al giorno e facendo sentire la propria attenta e quotidiana presenza attaverso un asettico messaggio audio attraverso il quale, giorno dopo giorno, ribadisce l'estrema attenzione verso le loro esigenze, richiama essi stessi al proprio amore civico, stila l'elenco delle regole da rispettare durante la degenza.
Qui, dunque, ci ritroviamo anche noi. Rinchiusi tra le fredde pareti di un ex manicomio assieme ad un piccolo manipolo di disperati, strappati bruscamente alle loro famiglie ed alle loro vite, spaventati, privati della vista, con un piccolo bagaglio di effetti personali e null'altro a dar loro conforto, sorvegliati dall'esterno da uno schieramento di soldati con l'ordine di sparare a vista (loro che, almeno per ora, ne sono provvisti) a chiunque dovesse cercare la fuga. In nome, manco a dirlo, del bene comune, che spinge l'amorevole Governo a isolare i malati onde circoscrivere il più possibile lo strano contagio. In un primo momento, tutto scorre più o meno liscio. Il piccolo manipolo di ricoverati, con disciplina e amor proprio, tenta di gestire al meglio la circostanza, abituandosi a muoversi in quel liquido lattescente che imprigiona i loro occhi, convivendo civilmente, dandosi appoggio reciproco. Lentamente però, la situazione sfugge di mano, i contagi aumentano, il numero di cittadini stipati nel manicomio cresce vertiginosamente, il premuroso ed attento Governo si fa sempre più distante e meno presente, le condizioni igieniche peggiorano, il cibo scarseggia.
E, manco a dirlo, all'interno della struttura la situazione degenera.
Inizia dunque un viaggio claustrofobico, angoscioso, disturbante, durante il quale Saramago rinchiudendoci all'interno del vecchio manicomio fatiscente, via via impregnato degli odori corporali degli internati, della putrefazione di coloro che soccombono, del viscidume appiccicoso dei bagni dismessi che ben presto si rivelano insufficienti a gestire una popolazione di duecento individui, ci costringe a gettare uno sguardo sull'essenza dell'animo umano.
Perchè, in breve tempo, dalla convivenza civile, dalla solidarietà, dal sostegno reciproco si passa all'abbrutimento, alla violenza, al sudiciume, alla brutalità del forte contro il debole, all'inganno ed alla rapina. Prigionieri in quel delirante manicomio, sempre più soffocati dagli odori putrescenti, ci ritroviamo in preda ad una angoscia che stringe la gola, tormentati dai morsi della fame, in balia del capriccio dei violenti, abbandonati ben presto dal mondo civile, con un unico, piccolo barlume di umanità che - debole fiammella - tenta di resistere all'oscura brutalità della massa.
Un libro che disturba ma che lascia il segno. "Homo Homini Lupus", diceva Hobbes a cavallo del 1600; "ogni uomo è un lupo per gli altri uomini". E qui, nell'asfissiante piccolo microcosmo in cui Saramago ci costringe, la veridicità di questa intuizione emerge in tutta la sua violenza. Anche nel mondo pulito e civilizzato, se le circostanze cambiano l'uomo tira fuori la sua vera essenza. Fatta di violenza, abiezione, istinti immondi. La storia ahimè più e più volte ci ha messo in guardia su cosa l'uomo è in grado di fare, quando scende in basso; e qui, in poco meno di trecento pagine, troviamo condensato tutto questo e molto di più.
Perchè nonostante il sapore amaro, nonostante il terrore che sembra serrarci la gola, nonostante il pessimismo che ti si appiccica addosso pagina dopo pagina - perchè in cosa mai potrebbero sperare un gruppo di ciechi isolati dal mondo civile ed in balia della bestiale ferocia di altri ciechi?- nonostante tutto questo, permane quella piccola fiammella di umanità che tutto ciò non riesce a spegnere, malgrado tutto, nell'animo di un piccolo gruppetto di persone.
Basterà questa piccola scintilla a non farli soccombere?

Un libro da leggere, metabolizzare lentamente ed accettare così com'è, nella sua brutalità. Perchè in fondo anche di questo è fatto l'animo umano.

UN ASSAGGIO:

"All'inizio, quando i ciechi qui dentro si contavano ancora sulle dita, quando bastava lo scambio di due o tre parole perchè gli sconosciuti si trasformassero in compagni di sventura, e con tre o quattro in più si perdonavano reciprocamente tutte le mancanze, talune anche gravi, e se il perdono non poteva esser completo, bastava solo aver la pazienza di aspettare qualche giorno, si è visto benissimo quante ridicole angosce abbiano dovuto sopportare gli sventurati ogniqualvolta il corpo pretendeva una di quelle urgenti liberazioni che siamo soliti designare come soddisfazione di necessità. Malgrado ciò, e pur sapendo come siano rarissime le educazioni perfette e come persino i più discreti recessi abbiano i loro punti deboli, c'è da riconoscere che i primi ciechi messi in quarantena sono stati capaci, più o meno consapevolmente, di portare con dignità la croce della natura prevalentemente escatologica dell'essere umano. Ma adesso, con le brande tutte occupate, e sono duecentoquaranta, senza contare i ciechi che dormono per terra, non c'è immaginazione, per quanto fertile e creativa in paragoni, immagini e metafore, che possa descrivere con proprietà la distesa di schifezza che c'è qua dentro. Non è solo lo stato in cui si sono rapidamente ridotti i cessi, antri fetidi, come probabilmente saranno all'inferno le fogne delle anime dannate, ma è anche la mancanza di rispetto di alcuni o l'improvvisa urgenza di altri che, in pochissimo tempo, ha trasformato i corridoi e gli altri posti di passaggio in gabinetti che inizialmente erano occasionali e ormai sono diventati abituali."

2 commenti:

  1. Questo è uno di quei romanzi di cui riaffronteró la lettura presto, dopo 4 anni dalla sua ultima lettura ☺ ricordo poco e niente, ma tengo bene a mente certi aspetti che mi sono sembrati disturbanti ma allo stesso tempo affascinanti ☺
    Sicuramente un romanzo che rileggeró quest'anno ☺☺

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    1. Io invece non lo avevo mai letto, nè avevo mai letto nulla di Saramago.. Mi ha colpito parecchio, seppure nella sua crudezza e brutalità.
      Leggerò certamente con interesse la tua recensione, se ne scriverai una!!

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